Carlo Sgorlon, scrittore e narratore Friulano

Gli esordi letterari

Il primo tentativo di romanzo che gli parve accettabile e che conservò fu “Il vento nel vigneto” scritto nel 1960. Una storia di intenso realismo lirico. Dieci anni più tardi il libro fu rifatto in friulano, col titolo “Prime di sere”, e qualche anno dopo pubblicato da un editore di Roma ed ebbe un buon successo nelle scuole.

Il libro nella versione Friulana e quella italiana ebbe diciassette edizioni.

Nel Vento nel vigneto si possono indicare alcune caratteristiche dello scrittore maturo: la predilezione per il mondo contadino, che già allora andava sparendo, sostituito dalla civiltà industriale; i temi intimi ed esistenziali; il prevalere dei sentimenti sopra le ideologie; la vocazione istintiva a una visione ecologica dell’esistenza. Di ecologia allora assolutamente nessuno parlava, tutti i discorsi, anche letterari, riguardavano il boom dell’industria. Nei libro c’è un rapporto perfettamente armonico tra uomini, natura, stagioni, tempi cosmici.

Più tardi Sgorlon, per breve stagione, si lascerà allettare dalle tematiche contemporanee, l’angoscia, la nevrosi, la inafferrabilità del reale. I protagonisti erano fantasmi precari, proiezioni dell’ansioso individualismo europeo di questo secolo. La poltrona e La notte del ragno mannaro (scritti rispettivamente nel 1965 e nel 1967) sono storie dal ritmo affannoso e nevrotico. I personaggi si sentono inseguiti dalla terribile labilità della vita e del tempo e tentano invano di realizzare se stessi.

Ma, dopo aver pagato un contributo abbastanza modesto all’ansia deformatrice della cultura del suo tempo, all’angoscia dell’incapacità di vivere e di realizzarsi, Sgorlon cominciò a conquistare la propria maturità di scrittore controcorrente, molto diverso da quasi tutti gli altri. La Luna color ametista (1970) è il primo romanzo che rivela la tendenza dell’autore friulano a muoversi verso i temi corali e collettivi. E’ il racconto di un gruppo di amici che vivono in un villaggio semiabbandonato, tagliato fuori dalla storia e dalle sue mutazioni. Essi ritrovano il piacere di vivere e di agire a contatto con un misterioso personaggio, Rabal, metafora della fantasia e del vitalismo. Rabal viene da chissà dove, irrompe nel gruppo e lo trasforma, almeno finché la sua presenza dura. Poi, quando se ne va, enigmaticamente come è apparso, la svogliatezza e l’accidia torneranno a diffondersi, e la fine del libro si connetterà al principio.