Carlo Sgorlon, scrittore e narratore Friulano

Storia centenaria di nonna Maria

Un secolo difficile vissuto energicamente

Le persone che si rivolgono a me usano vari modi per definirmi: chi "professore", chi "dottore", qualcuno persino "maestro"; a volte per la strada o al supermarket, chi non mi conosce usa il familiare e generico "capo". C'è una sola persona che si rivolge a me con un titolo che un generoso Presidente della Repubblica mi ha donato: "commendatore". Questa persona è una signora del tutto particolare, anche perché ha appena compiuto cento anni. E' la suocera di uno zio acquisito di mia moglie. E' lucidissima, dinamica come una lucertola, anche se ogni tanto confessa che "comincia a sentire il peso degli anni".

Minuta, sottile, ha trasformato i suoi quaranta chili (scarsi) in un centro di dinamismo e di sorprendenti energie. Quando la incontro cerco di farla parlare della sua infanzia, dei suoi giochi, della società poverissima e tuttavia serena in cui è vissuta.

I giochi? Quali giochi. No se li ricorda quasi. Non ne ha avuti. Non ebbe quasi infanzia perché a otto anni già la mandavano in questa o quella casa del paese per custodire bambini o eseguire lavoretti domestici che venivano compensati con i centesimi di rame, la moneta infima dello Stato italiano, già scomparsa con la prima grande inflazione della nostra storia economica, quella causata dalla Grande guerra.

E la scuola? Niente scuola. Alla scuola la signora Maria veniva iscritta regolarmente, ma questo era tutto. Non v'era il tempo di frequentarla. E' tutt'ora il suo grande rimpianto. Dichiara di sentire ancora il bruciore delle lacrime versate per il gran dispiacere di avere perso l'occasione di sedere sui banchi di un'aula. Imparò i numeri non con il pallottoliere o la lavagna scolastica, ma passando lungo le vie e leggendo quelli scritti sopra le porte delle case. Apprese le lettere dell'alfabeto ricopiando i titoli dei giornali.

A undici anni s'impiegò in una fabbrica di tessitura, l'unica grande occasione che allora si offriva al lavoro femminile. La fabbrica era quella di viale Alvise Duodo e apparteneva al signor Barbieri. Le ragazze lavoravano undici ore il giorno. Era una fabbrica - collegio che assorbiva tutta la vita delle giovani operaie. La fabbrica era tutto: il posto di lavoro, il dormitorio, l'osteria, il dopolavoro, il luogo di ritrovo e dei conversari. Dalle finestre della fabbrica la nostra Maria, quindicenne, vide la celeberrima cometa di Halley, cui i poeti dedicarono odi e inni. Al tramonto sorgeva la sua lunghissima coda, che affascinava ma anche svegliava paure ancestrali nelle persone. Cosa fossero veramente le comete lo sapeva Camille Flammarion, ma non certo la ragazzina tessitrice Maria. Per lei voleva dire presagio di sventure e di guerre. E difatti l'anno successivo venne la guerra, quella di Libia, che suscitò grandi stupori tra la gente, che non era abituata a essa, e la conosceva soltanto per sentito dire. Una guerra lontana, combattuta al di là del mare, per la Quarta sponda. Si capì meglio cosa fosse veramente la guerra quando vi andò uno del paese e non tornò più a casa.

La fabbrica di tessitura fallì e la Maria dovette trovare un nuovo lavoro all'estero, al di là del confine. I confini, allora, erano i fiumi Iudrio e Isonzo. Una nuova fabbrica di tessitura tra Ronchi (allora senza Legionari) e Doberdò del lago. Qui v'erano anche complicanze politiche, poiché la fabbrica aveva una dirigenza austriaca, o almeno austriacante. A Sarajevo, città di guai politici anche allora, come oggi, uno studente serbo irredentista, Princip, uccise a pistolettate l'arciduca Ferdinando e sua moglie Sofia. Che disastro! Che tragedia politica, per il mondo austriaco! Quali foschi presagi di guerra! Erano tutti paurosamente preoccupati, ma non un'operaia italiana che si mise a fare dello spirito sui tragici fatti. Hanno ucciso Francesco Ferdinando, quel pezzo d'uomo? E a lei che gliene importava? Se avessero ucciso ilsuo piccolo re italiano, allora sì, allora sarebbe stata una vera tragedia! Il pettegolezzo fu riferito ai soprastanti della fabbrica, e le cose diventarono piuttosto serie. Riunioni plenarie delle operaie. Chi ha pronunciato le incaute parole? Nessuno osò farlo, per amore del pane guadagnato in terra straniera. L'indagine fu portata avanti per cinque giorni, con scarsa convinzione da parte dei preposti, soprattutto per salvare la faccia. Le italiane erano intimidite, e soprattutto vedevano complicazioni per la loro paga, i pochi fiorini o le corone mensili. Quanti patemi, in quei cinque giorni d'indagini! Si vedeva il fantasma di una nuova guerra, dopo l'ultimatum alla Serbia.

La grande cometa di quattro anni prima continuava a produrre sventure. La Maria ripassò il confine, e si cercò un lavoro in Italia, nell'ospedale militare, che già allora si trovava in via Pracchiuso. Qui la nuova tegola della storia che cadde sulla testa della signora Maria, fu naturalmente la rotta di Caporetto. Tutti gli ambienti, e quindi anche l'ospedale militare, erano in estrema confusione. La signora Maria ricorda che era, sì, il giorno della rotta di Caporetto, ma anche quello della paga: ventisette novembre. Lei era ben decisa a fuggire, ma non senza la ventina di lire che le spettavano. Ebbe il suo gruzzolo; ma poi ne diede buona parte ai fuggitivi anche più diseredati e scalcinati di lei. Presto vide i segni della guerra, ormai arrivata a Udine. In porta Gemona, dove c'era il caffè alle Alpi, l'aspettava l'orrendo spettacolo di un soldato ferito ai piedi, riverso sul marciapiede, in un lago di sangue. Un terribile roditore gli aveva divorato lo scarpone e le dita di un piede. Forse una granata, forse una bombarda, chissà! Lo sventurato supplicò la ragazza di dargli la morte, e lei fuggì spaventata, dopo aver chiamato soccorso. Si servì di un asino legato a una carretta abbandonato da chissà chi, per guadagnare la nativa Driolassa, e ritirarsi a salvamento nella casa dei suoi. Se la cavò ancora una volta, benché il terribile disordine della rotta avesse trasformato le strade in fiumi di fuggitivi e di feriti.

Finite le guerre della signora Maria, preannunziate dall'infausta cometa? Mai più. Il fascismo che stava per nascere ne avrebbe fatte ben quattro. E l'ultima fu la più terribile, con la coda della lotta civile e la persecuzione degli ebrei. Per vent'anni la Maria, diventata signora, fu la donna di servizio e di fiducia di una notissima famiglia di ebrei. Fu lei a sviare le SS, che li cercavano per portarli in campo di concentramento. Disse di non sapere più niente dei padroni, ma di avere più volte sentito parlare della Svizzera. Invece erano da tutt'altra parte, si capisce.

Dio voglia che quella sia stata la sua ultima guerra, signora Maria. Questo anno nuovo, il suo centesimo, è stato dedicato dal Pontefice alla pace. Dunque buon anno a lei, signora Maria! Il suo affezionato commendator Carlo Sgorlon.

Carlo Sgorlon Messaggero Veneto - martedì 10 gennaio 1995

 

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